E NON CI LASCEREMO MAI! - ALESSANDRO CARCAGNì & ALESSIO GIAFFREDA (anno 2, n.6)

Ognuno faccia le proprie considerazioni, buone o cattive che siano, ma c’è un dato di fatto: i temi della politica odierna, quelli per cui i partiti si scaldano tanto, perché animano evidentemente le basi, sono stati portati all’interno del dibattito dal Movimento 5 Stelle, che pure ha programma e idee bistrattati da chi ne trae spunto. Il primo, da un po’ di tempo a questa parte, a parlare su grande scala di costi della politica, privilegi, tasse, corruzione fino a coinvolgere le masse è stato Beppe Grillo nei V-day di qualche anno fa, e oggi quelle stesse tematiche sono utilizzate da tutti gli schieramenti, Movimento compreso, per accaparrarsi elettorato. La nuova legislatura, come la campagna elettorale che l’ha preceduta, si sta articolando nel segno del “cambiamento”. O per lo meno chi ci “rappresenta” (virgolette d’obbligo) vuole darci quest’impressione, fermo restando che questo sia il cambiamento di cui l’Italia ha bisogno.
Tentativo ben visibile nella formazione del governo Letta. La nomina di ministri come Cecile Kyenge e Josefa Idem, così come l’inserimento di molte facce giovani, dimostra questa (forse apparente) voglia di cambiamento - sempre per com’è inteso dalla maggior parte del popolo italiano - oscurata dall’assegnazione dell’incarico a nomi del calibro di Angelino Alfano, simbolo, opinabile, per carità, dell’“inciucio” scaturito dalla ricerca di una forse innaturale coesione politica. Ma su questo esecutivo, ancora una volta, pesa - cibo per i fautori del complotto - la presenza di un premier del Bieldelberg (confronta art. “Chi forse ci governa davvero” di Giulio Papadia, n. 3 anno 2). Letta è un membro dell’organizzazione, così come lo è Monti. Ed anche Napolitano, rieletto Presidente della Repubblica, ha i suoi rapporti con quella che viene vista da molti come nuova “Massoneria”.
Tornando a noi, proprio quell’elezione del Presidente della Repubblica ha quell’indigeribile saporaccio di collusione. Una collusione o comunque una complicità, consapevole o meno, che negli ultimi vent’anni ha fatto continuamente arricciare il naso alla base del PD. Napolitano è un uomo della pseudo-sinistra, la cui candidatura è stata implorata da PDL e PD, come estremo tentativo di un evidentemente indispensabile accordo, probabilmente perché ha lavorato talmente bene in questi sette anni, da essere punto d’incontro perfetto tra i due maggiori scheramenti. Ha lavorato bene per il Paese, s’intende.

Se il PD vive un momento di profonda crisi nella sua dirigenza, questa omertosa convivenza al governo con una forza politica che protesta contro uno dei Tre Poteri dello Stato, non aiuta di certo a risollevare il partito ora diretto da Guglielmo Epifani (che non rappresenta, obiettivamente, quella risposta alla richiesta di freschezza e cambiamento, tanto auspicata dalla base). E Berlusconi, nonostante abbia qualche uomo in meno rispetto al maggior partito di sinistra a causa del premio di maggioranza, ha comunque posto un’influenza sull’esecutivo di mastodontiche proporzioni. Come si dice nel linguaggio tecnico, il Cav tiene questo governo per le palle. E parla di “pacificazione”, quando in realtà c’è la stabilità di una maggioranza piuttosto strana che è ostaggio delle sue vicende giudiziarie. E non è un’opinione, bensì cronaca obiettiva. Ah, e tra l’altro, l’utilizzo del termine “pacificazione” fa intendere che ci sia stata una guerra in passato. Tesi piuttosto fragile.
Ma allontanandoci da queste considerazioni riguardanti i disegni dei nostri governanti, veniamo all’analisi delle cose fatte. E non.
L’attenzione del governo Letta sembra concentrata principalmente sulle riforme istituzionali, spinto dalla linea di un presidenzialismo auspicato dalla parte berlusconiana e anche da una buona parte del PD, che per l’ennesima volta è diviso sul tema. Poco importa se la nostra Repubblica, dopo il fascismo, venne dichiarata “parlamentare” proprio per evitare che troppo potere si concentrasse nelle mani di un sol uomo. Ma la parziale immunità dalla legge che regala quella poltrona al Quirinale fa troppo gola al geniaccio di Arcore, che sarebbe, con l’elezione diretta da parte dei cittadini, il candidato più papabile, visto il largo consenso di cui la sua figura personale gode tra gli elettori. Incredibile dictu, ma è così.

La commissione ideata da Letta cerca un potenziamento delle funzioni dell’esecutivo (un problema, anche questo, sollevato molto spesso dal Cav.), funzioni che secondo il prof. Stefano Rodotà non necessitano alcun rafforzamento. Riguardo al presidenzialismo, il giurista, candidato dai 5 Stelle al Colle e poi attaccato dallo stesso Grillo per le sue critiche alla gestione del Movimento, si è espresso contro, perché “rappresenta la via regia al populismo”, in un paese in cui le personalizzazioni politiche sono la norma.
Nonostante il nuovo esecutivo abbia rimesso in moto la macchina istituzionale dopo uno stallo preoccupante, gli attuali obiettivi posti dal “governo a termine” (così l’ha definito il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), non sembrano rispondere alle reali necessità del Paese, o almeno non totalmente.
Il provvedimento-truffa sul finanziamento pubblico ai partiti, la ricerca di un sistema politico di tipo presidenzialista e l’improvvisa urgenza di un cambiamento della legge elettorale, sono iniziative che sembrano tutte convergere in un’affannosa corsa al consenso e che arrivano molto in ritardo, solo dopo un clamoroso crollo della fiducia nei partiti. Non è ben chiaro perché le riforme istituzionali tanto auspicate dal governo debbano rappresentare una priorità in questo periodo di crisi. C’è una reale voglia di cambiare un sistema politico troppo chiuso nei palazzi, o solo il bisogno di ridare fiducia a una politica troppo legata agli interessi personali?
Ciò che ci sembra chiaro è che il cambiamento sia prettamente di facciata e che le iniziative di riforma del sistema politico distolgano l’attenzione da uno dei reali problemi socio-economici del nostro Paese. Un problema a cui il governo non può rispondere solo con un rifinanziamento dimezzato della cassa integrazione (la cifra stanziata ammonta a 700-800 milioni di euro, a fronte di 1,5 miliardi necessari per rifinanziarla), o rimandando la rata di giugno dell’IMU, che verrà comunque coperta da un prelievo fiscale alternativo, come già avvenne dopo l’abrogazione dell’ICI da parte del governo Berlusconi, lasciando senza risorse i Comuni ma illudendo i cittadini con un finto abbassamento della pressione fiscale.
Il problema di cui stiamo parlando è rappresentato dalla cattiva distribuzione della ricchezza. I dati sono allarmanti in un periodo di crisi “globale”, che a quanto pare non interessa tutti. Il 45 % della ricchezza in Italia è nelle mani del 10 % della popolazione, mentre un misero 10 % è in mano al 50 %. E il distacco sembra aumentato di un punto percentuale proprio in questi anni di crisi. Questo sta a significare che, mentre i ceti medio-bassi si impoveriscono a causa delle misure di austerità, i ceti più abbienti si arricchiscono.
Tra iniziative parziali e talvolta insufficienti, anche per il Governo Letta il tema “patrimoniale” sembra rimanere un tabù. Nonostante un welfare stremato dalle misure d’austerità, la disoccupazione che dilaga e una quantità minima di risorse, l’Esecutivo sembra non voler rispondere “coraggiosamente” a questa crisi. Chiedere un abbassamento del livello di disparità economica non è populismo, ma giustizia sociale sancita dalla nostra Costituzione che il Governo si prodiga per modificare.
E’ sbalorditivo constatare come tutti i provvedimenti già presi o quelli a cui si lavora siano nell’agenda o al cospetto del gradimento del leader PDL, nonostante il premier Letta sia un uomo, almeno sulla carta, del centro-sinista.
Viene spontaneo, dunque, legittimare i dubbi che abbiamo espresso all’inizio del nostro articolo. Questa strana confusione dentro la quale pseudo-liberali e pseudo-democratici della nostra Italia ci hanno immerso, è fatto nuovo e inaspettato, oppure atto finale di due decenni di finta guerra? “Finale”, per essere ottimisti.


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