BAD BED (LA SONNOLENZA INGANNA) - FRANCESCO RESTA (anno 2, n.5)

Titolo e sottotitolo come i film “buoni”, o come in una commedia ad atto unico, solo che il protagonista sei tu, io, che recitiamo un “mestiere”, un bisogno più che altro, vecchio come il cucco, in cui come prodighi bachi da seta ci aggrovigliamo tra le coperte. Ci troviamo ad essere come il ripieno in un cannellone (mmmh...cannellone), o come qualunque altra cosa che entri ad hoc in qualcos’altro. Suvvia non siate maliziosi. Pensate a quel primitivo misoneista (scusate, è troppo bello il vocabolo) che con timore è sgusciato dal giaciglio di paglia in favore del materasso. Questa è evoluzione. Mi chiedo, vi siete mai resi conto del legame inscindibile tra noi e quell’ornamento da camera, quell’altare dei sogni, quel paradiso in terra, quel fecondo luogo, quel… letto che ci accompagna durante tutta la nostra vita? È presente al momento della nostra nascita, anzi no, dal concepimento! Vabbè non è detto neanche questo, però in linea di massima ci si augura che sia così. Stessa cosa per compare morte, che non sempre si “ha” stesi tra le candide lenzuola. Superate queste precisazioni, ci pensate quanto dobbiamo a quel pensatoio da camera? È presente al pari del nostro miglior genitore, quando stiamo male, quando piangiamo, assorbendo senza remore fino all’ultima goccia del nostro dolore, quando siamo avvinghiati a corpi altrui (e questo è un quando grosso), quando petiamo. Da “peto” latino ovviamente, “chiedere qualcosa a qualcuno”, siamo classicisti, non meteoristi. È il vero luogo di contatto tra il terrestre e il divino, altro che piramidi! Chiediamo responsi a entità superiori, siano essi Buddha, Dio o Spongebob, chiediamo favori in cambio di preghiere, malefici in cambio di bestemmie, tutto in cambio di niente. O quantomeno di non andare a scuola.

Diventa luogo di studio improvvisato, perché, si sa, ripetere prima di dormire fissa i concetti nella mente. Ripetere, non studiare. Luogo per appuntare i nostri folli e folti pensieri e poetici versi. Ci sentiamo così potenti, come su di un triclinio, da chiedere allo sventurato “servo” di portarci da bere, perché no, da mangiare, da leggere. Di spegnere la luce. Ed è in quell’istante che rimaniamo soli, noi e noi. Guardiamo con familiarità il caro soffitto, e ci accucciamo nel santo cuscino, che, diciamocelo, quando viene smarrito “misteriosamente” nelle afose estati son notti in bianco. Come nei migliori esercizi orientali di rilassamento, ascoltiamo i nostri battiti, il nostro corpo, lontani dal caos, dal bordello mondiale che si svolge continuamente sotto i nostri occhi. E qualche sera, quando ci manca qualcosa, qualcuno, gli diamo una voce con le nostre cuffie e facciamo riprendere il nostro cuore che asincrono batte tempi dispari. Poi, che il tanto atteso sonno giunga dopo ore di attesa agonia o al contatto con il suolo lettico è la norma. Che il momentaneo appoggio pomeridiano della testa sul cuscino, “il pisolino”, si protragga per un tempo inversamente proporzionale alle nostre aspettative in termini di produttività per compiti futuri, eventuali uscite e ovviamente sonnolenza, è realtà. Diamine, sonno+lenza, è una parola composta... Saremmo come pesci ma voraci di sonno? Ma i pesci non dormono! Quindi il sonno ci prende beffardamente all’amo? Sarà per questo che chi dorme non piglia pesci? (Kazzenger!). Sono forse pazzo? Probabile. Ci pensavo proprio l’altra sera. A letto.

 

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