AD MAIORA! - EDOARDO MAURO & ALESSIO GIAFFREDA (anno 2, n.5)
Eh sì, siamo umani, infondo. Anche noi della redazione… Anzi, soprattutto noi di questa redazione, abbiamo dei piccoli vizi.
Alcuni dei nostri giornalisti in erba hanno cominciato a considerare, giustamente, che questo malloppo di carta debba smettere di chiamarsi “giornalino”. Sì, dai, è riduttivo, sa di una cosa piccola, insignificante. E noi, soprattutto ora, non ci sentiamo di esserlo: per chi non l’avesse notato, siamo diventati grandi. Sì sì, davvero grandi. Gli ultimi tre numeri (questo che avete in mano compreso, dunque) sono stati distribuiti, oltre che all’interno delle mura della scuola, su tutto il territorio di Galatina. Abbiamo allargato il nostro pubblico, e ingrandirci ancora di più è un’idea che ci delizia parecchio.
E questo GIORNALE, perché è di un giornale che si tratta, checché se ne dica (e checché ne dicano strani individui, direttori di testate spudoratamente filo-cattoliche, e tale incurante servilismo basta a qualificarli), continua a costruirsi, mattone dopo mattone, su quei valori che per noi sono fondamentali. E, dato che non siamo solo carta, ci siamo inventati di trasmettere questi valori anche in maniera un po’ diversa.
“L’Italia s’è desta” recitava fiero nel nostro “Fratelli d’Italia” il giovane Mameli prima di morire al fianco di Garibaldi. Correva l’anno 1861: si era combattuto contro la nemica Austria a nord, e a sud con la secolare famiglia dei Borbone. Eravamo un popolo di smarriti, comandati a bacchetta da poteri stranieri che da secoli avevano occupato il nostro paese, ma grazie all’impresa eroica di un manipolo di soldati siamo diventati liberi, prendendo responsabilmente in mano il nostro destino.
Ora, saranno passati all’incirca 150 anni (mese più, mese meno); ci sono state di mezzo due guerre mondiali, una nuova Costituzione, la nostra terra ha dato i natali a tanti personaggi illustri, abbiamo vinto anche quattro mondiali di calcio. Ma la nostra bella Italia entra nel 2013 tentennando. Chiamatela crisi, chiamatela politica-teatro, chiamatela coscienza civile ai minimi storici, ma il nostro bel Paese è disorientato, in balia di uno stile di vita (quello dell’ “Italiano Medio” come cantavano gli Articolo 31) che non ha fatto altro che distruggere tutte le buone intenzioni dei nostri lontani parenti, in quel lontano 1861.
Il verso sopra citato del giovane Mameli deve ritornare sulla bocca di tutti, e non solo durante le serate estive in ricorrenza dei Mondiali. Deve essere il nostro nuovo credo per farci cambiare rotta rispetto ad una strada che ci conduce a una rovinosa fine.
Ecco spiegato quel 1 Febbraio. Noi pseudo-giornalisti volevamo far capire che i giovani hanno intenzione di farla cambiare davvero la rotta, con una marcia molto convincente: la cultura unita a della sana coscienza civile. Un mix sublime e inarrestabile, l’unica vera medicina contro la crisi (e non intendiamo quella economica che lasciamo ai vari Monti & Co, ma una ben più grave crisi dei valori).
Vogliamo che la nostra Italia ricominci a mettere un po’ di sale in zucca, vogliamo che ci metta passione in una (speriamo) imminente crescita. Ecco perché ci siamo messi in gioco in prima persona. Ammettiamo, sì, di esserci infondo divertiti tra prove e letture, ma lo abbiamo fatto unendo l’utile al dilettevole, e dando vita a qualcosa di importante che davvero non si era mai visto.
“Ostentare la modestia è una cosa da superbi”, sentenzia Caparezza. Non ce n’è il pericolo, ve lo assicuriamo. Non per boria, ma è sotto gli occhi di tutti il fatto che uniti, i ragazzi, stanno dando vita a qualcosa di inimmaginabile. Questo Giornale continuerà a dare lustro alla nostra scuola, che noi speriamo possa risorgere davvero. E le persone che ci hanno fatto avere il loro appoggio e la loro ammirazione, in qualsiasi modo, ci fanno solo un gran piacere e sono lo stimolo per continuare. Non ci fermiamo, infatti: continueremo a lavorare per dare vita ai nostri pensieri.
E non finisce qui. Abbiamo ancora in serbo per i nostri lettori, e non, qualcos’altro. Ve l’avevamo detto che vi avremmo stupiti. Il più grande augurio che a dei classicisti si possa fare forse è proprio quello che noi stiamo per fare a noi stessi: AD MAIORA!