ATLETICA SOTTO CHOC: RITORNA L'INCUBO DOPING - GIULIO PAPADIA (anno 2, n.7)

Eccoci. Ci risiamo. Alla vigilia di un evento di portata globale come i Mondiali di atletica, il mondo della velocità viene scosso da un nuovo, pesantissimo scandalo doping. Forse il più grande scandalo di sempre, perché coinvolge non un singolo atleta, ma quasi un’intera nazionale (quella giamaicana) e ben due recordmen del recente passato: Asafa Powell e il rivale statunitense Tyson Gay, praticamente annullati sul piano delle vittorie negli ultimi anni da Sua Maestà Usain Bolt.
Asafa era, prima dell’avvento di Bolt, l’uomo più veloce del mondo, il Messia dello sprint. Con lui, sono coinvolti in questa nuova triste pagina di doping ben quattro connazionali. Proprio loro, i giamaicani. Gli atleti perfetti, gli uomini nati per correre, gli esseri sovrumani nati per sfidare il vento.
I giamaicani sono risultati positivi a uno stimolante, dopo un controllo a sorpresa in occasione dei campionati nazionali a Kingston, nel giugno scorso. Gay, invece, è stato beccato dall’antidoping a maggio: lo statunitense è, per ora, l’unico ad aver ammesso la sua condotta irregolare.
Da tempo i giornalisti si interrogano sulla perfezione fisica e sullo strapotere atletico dei coloured in generale. Infatti, se si fa eccezione per il mito Pietro Mennea scomparso pochi mesi fa (ricordato brillantemente dal collega Paolo Sciuga) e per l’unica attuale star europea, il candido francese Christophe Lemaitre, nessun bianco ha mai messo in pericolo l’egemonia degli afroamericani e dei superatleti caraibici (non dimentichiamo, infatti, le Antille olandesi, Trinidad & Tobago e altre nazioni che sono state fucine di talenti) e giamaicani. La questione è molto semplice: gli attuali campioni dell’atletica sono, in qualche modo, la quintessenza della forza e del vigore. Gli schiavi di colore deportati dall’Africa nelle piantagioni di cotone del sud e centro America venivano selezionati in base alla loro forza fuori dal comune. Superuomini che hanno nei geni la propensione ad essere infinitamente più forti dei bianchi. Superuomini trapiantati nei Paesi che ora sfornano gli uomini più veloci del mondo. Superuomini selezionati per le loro doti fisiche che, a secoli di distanza, vengono utilizzate nella corsa. Insomma, è una magra, magrissima consolazione dopo l’orrore della schiavitù dei neri, poter vedere questa minuscola rivincita sulle piste di atletica.

Tutto cancellato, compromesso, irrimediabilmente infangato. La favola del riscatto degli uomini di colore attraverso l’atletica viene offuscata dal doping. Non si tratta del primo caso e, purtroppo, non sarà nemmeno l’ultimo.
Come non ricordare le Olimpiadi del 1988, dove l’oro nei 100 metri andò al “Figlio del Vento” Carl Lewis, arrivato terzo in gara, dopo la squalifica dei primi due classificati risultati dopati? Era l’anno di Ben Johnson, il canadese con un struttura fisica impressionante che aveva letteralmente sbriciolato la concorrenza. All’epoca si disse che gli steroidi di cui si Johnson era imbottito gli avevano fatto mettere su una massa muscolare di diversi chilogrammi in pochissimo tempo.
Come non ricordare Justin Gatlin, solo recentemente riabilitato dopo anni di squalifica a causa del doping?
Come non ricordare la regina della velocità Marion Jones, stella di Sydney 2000, poi trovata positiva?
Si tratta di atleti già fortissimi, che sono caduti nella trappola delle sostanza illecite solo per quello spirito di competizione che sta uccidendo lo sport. Se non si è inseriti in queste logiche distruttive che vengono inculcate già nel cervello degli atleti in erba, risulta praticamente impossibile comprendere azioni del genere.
L’atletica è solo uno degli sport distrutti dalla piaga del doping. Quello che, però, è il più compromesso a livello di immagine è certamente il ciclismo. È notizia di questi giorni il successo straordinario di Chris Froome sul Ventoux. Roba da superuomini. Un’impresa che lascia sbigottiti, quel genere di impresa sportiva che emozionerebbe chiunque. Proprio come quelle di Lance Armstrong, considerato una divinità del ciclismo prima che venisse fuori il suo coinvolgimento nelle oscure vicende del doping. Mi auguro per Froome, così come per Bolt, che siano due campioni puliti. Sarebbe un brutto colpo vedere crollare anche queste ultime speranze per un appassionato di sport come me.

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