QUANDO IL CARNEFICE E' LO STATO- SAMUELE SPONGANO (anno 4, n.2)
Stefano Cucchi è un giovane romano che ha alle spalle un vita difficile segnata da quella che è la dipendenza da sostanze stupefacenti. Nel 2009, dopo essersi disintossicato, ricade nuovamente in questo maledetto tunnel e viene arrestato. Nello stesso momento in cui varca la soglia del carcere inizia il suo calvario. Dopo una settimana, muore il 22 ottobre 2009 a causa delle violenze subite. La morte di Stefano non è casuale, ma è causata dalle numerose percosse ricevute da tre ‘macellai’ travestiti da poliziotti che si occupavano di lui e da sei medici simbolo dell’indifferenza che, nonostante tutto, non si sono accorti che Stefano fosse sottopeso e che fosse soggetto periodicamente di violenze. La domanda che a tutti sorge spontanea ora penso sia solo una: “Lo Stato dov’era quando tutto questo veniva fatto?’’. Semplice: secondo lo Stato non ci sono colpevoli per la morte di Stefano Cucchi. Non lo sono i sei medici condannati in primo grado per omicidio colposo e assolti in appello, né i tre infermieri e i tre poliziotti prosciolti nel processo in Corte d'Assise. “Perchè il fatto non sussiste”, hanno stabilito i giudici della II sezione di Roma. Come se già tutto questo non fosse un chiaro segno di come la giustizia italiana sia fallita si aggiunge la sentenza la quale afferma come se non bastasse che neanche i sei medici possono essere condannati per “insufficienza di prove”. A mio parere questo significa che si sapeva quanto successo ma non si voleva credere perché sembra impossibile che un medico non riesca a compiere il proprio lavoro o che dei poliziotti abusino del loro potere. Ma questo ovviamente non è il primo caso e mentre io scrivo queste poche righe la famiglia di Stefano sta lottando. Lotta per ottenere quella giustizia che per troppo è stata negata. Io posso ora, a fine articolo, esprimere tutta la mia vicinanza nei confronti della famiglia e sperare che una volta per tutti la giustizia apra gli occhi e si renda conto di come è stata indifferente nei confronti di un giovane.