DALLA PARTE DEGLI INSEGNANTI - Alessio Giaffreda
Avete mai riflettuto sul fatto che quando i nostri politicanti dibattono sui modi possibili per reperire fondi, e si parla di tagli alla spesa pubblica, le mani si mettono sempre sui settori della sanità e dell’istruzione? Quelle che dovrebbero essere due colonne portanti di una buona società (egualmente fondamentali, anche se il popolino non sa equipararle come si dovrebbe) sono le prime due voci che vengono manomesse per far fronte ai problemi di bilancio.
Quando dico che il popolino non le considera allo stesso modo, mi riferisco alla scarsa importanza che la diffusa mediocrità dà all’istruzione. Rispetto alla sanità, ad esempio, essa per la visione comune è sostanzialmente nulla. Non di secondo piano, ma di terzo, quarto e quinto (se va bene). Se la sanità non funziona, si fanno sentire in tanti. Gli uomini da bar e le nonne e le zie ne parlottano scandalizzati tra un pettegolezzo e l’altro. E inserire una questione in un contesto simile, tra le birre dei vecchi che giocano a carte, e tra i caffè nei tinelli di tutte le case, vuol dire darle un peso notevole. Della scuola no. E questo comporta che anche gli esponenti dell’uno o dell’altro settore siano visti diversamente. Immaginiamo se scioperassero i medici. Che scandalo sarebbe per la popolazione. Se invece i docenti decidessero per un periodo di non impartire le loro lezioni in una scuola pubblica, nessuno se ne curerebbe più di tanto.
Eppure, l’articolo 4 della nostra Costituzione dice che “Ogni individuo ha il diritto di contribuire allo sviluppo MATERIALE o SPIRITUALE della società”. Le cose sono equiparate. Sublime.
Perché è arrivato il momento che gli studenti si mettano dalla parte degli insegnanti?
Vorrei concentrarmi sulle scelte che si applicano al settore dell’istruzione ormai da tempo. La scuola, negli ultimi anni, è stata demolita da una serie di tagli che la stanno sostanzialmente svuotando. I programmi sono inevitabilmente tritati, per il minore numero di ore a disposizione. I docenti sguazzano in una melma densa di ostacoli cercando di fare quello che già prima era difficoltoso. Spiegazioni, verifiche, senza contare le difficoltà che quotidianamente si incontrano (banalmente, se un solo alunno rimane indietro bisogna destreggiarsi come trapezisti per far recuperare lo studente, andare avanti col programma, rimettere tutti al passo, favorire lo sviluppo omogeneo, verificare opportunamente i progressi di una classe). E non sono esempi stupidi: ogni impercettibile intoppo compromette potenzialmente un intero anno scolastico. E ce ne sono, di intoppi. Senza contare che si formano classi di trenta alunni, dove tutto è inevitabilmente più difficoltoso, e non c’è bisogno di spiegare il perché. Ne risente il lavoro di un docente che per grazia divina ha una cattedra non precaria, e ne risente anche chi ancora questo grande sogno deve coronarlo (fanno notizia i poveretti che a 64 anni riescono a farsi assegnare un posto stabile).
Mentre scrivo quest’articolo, mi imbatto per uno scandaloso volere del fato in una tabella che evidenzia il reale numero di ore di lavoro di un’insegnante. Oltre alle 18 settimanali di una cattedra normale, si aggiunge una miriade di altre voci relative alla correzione dei compiti, al lavoro fatto per la scuola, alla preparazione delle lezioni, alle riunioni, agli incontri.
E che dire, poi, delle pressioni che gli insegnanti ricevono, da tutti i lati. Dalle famiglie, sempre più esigenti e irrispettose dei ruoli, e sempre più dalla parte di figli viziati contro docenti preparati, alle istituzioni (si può parlare di un preside come di un ministro dell’istruzione, o ancora del periodico essere messi in mezzo da un certo tipo di politichetta).
Il mondo di oggi è già avariato, non c’è bisogno di dirlo. Quello del domani più prossimo, probabilmente, anche. Voglio pensare al primo istante del futuro più facilmente salvabile, che non so tra quanto arriverà. Oltre alla convinzione che la cultura e la conoscenza, sviluppate come si deve, debbano mirare ad un’evoluzione dell’essere umano fine a se stessa, voglio proporvi (a malincuore) una visione economizzatrice del sapere. La buona gestione – ad ogni livello - che possiamo solo sperare un giorno di avere, dopo decenni di buio pesto, passa da loro.
Dobbiamo sostenere chi con passione inimitabile ogni giorno entra in una classe e cerca, attraverso la trasmissione di conoscenze e lo sviluppo di competenze, di far evolvere lo spirito di un singolo alunno, e di far evolvere al contempo il sistema Mondo. Dobbiamo guardare con reverenza il lavoro più nobile, quello dell’insegnante. Non parlo di rispetto clientelistico-provincialista. Ma di stima, di gratitudine verso chi svolge il ruolo più maestoso del mondo: far crescere in maniera sana le nuove generazioni.
Sarebbe un sogno vedere un nonno che si lamenta perché il nipotino non ha fatto lezione a causa di uno sciopero degli insegnanti, così come lo fa perché l’hanno tenuto tre giorni in ospedale senza risolvere nulla.
Io mi schiero a favore di coloro che ogni giorno, in Italia e nel mondo, entrano in una classe e tra mille contraddizioni (e ormai è una formula tipica il “tra mille contraddizioni” quando mi ritrovo a parlare dei docenti) si rimboccano le maniche per regalare a dei bambini o a degli studenti liceali libertà, cultura, coscienza, curiosità. Non potrei fare altrimenti. E mi pongo in maniera critica nei confronti di chi, grande e vaccinato, denigra l’ “andare a scuola”, come i bambini delle elementari quando la mattina non riescono a svegliarsi. Così come non credo nell’autenticità di molte battaglie per il “diritto allo studio” che un'innumerevole quantità di studenti conduce semplicemente accodandosi alle iniziative di chi ha qualche slancio in più, senza capire realmente il senso profondo di certe parole e di certi sbandierati valori, e tra l’altro dimostrando la falsità di un certo interesse alle varie questioni quando c’è qualche affare personale da risolvere.
Sosteniamo i docenti, non lasciamoli in balia dei giochetti che subiscono con 150 euro prelevati o non prelevati dai loro stipendi per degli assurdi provvedimenti.
Sono i Maestri, con una bella lettera maiuscola, che ci insegnano a crescere rispetto ad ogni dettaglio del nostro essere.
Non scholae, sed vitae discimus.