UN ESEMPIO DA SEGUIRE- MARIANNA BIANCO (anno 4, n.2)
“Ἄνδρα μοι ἔννεπε, Μοῦσα, πολύτροπον, ὃς μάλα πολλὰ”… così ha inizio l’Odissea, il famoso poema omerico scritto in greco antico. La parola chiave di questo primo verso è πολύτροπον. Tale parola ha molti significati, come “uomo che molto viaggiò”, “colui che conobbe molte genti”, “eroe multiforme”, atti a designare il profilo di un eroe, Ulisse, il protagonista dell’Odissea. L’Iliade, poema che tratta la guerra di Troia, si conclude con la vittoria degli Achei sui Troiani proprio grazie ad uno stratagemma di Ulisse: il cavallo di Troia. Nell’Odissea si narra che alla fine dell’estenuante guerra durata dieci anni, per altri dieci anni Ulisse è costretto a vagare in mare nel tentativo di tornare nella sua patria, Itaca. Ostacolato da forze mitiche come il Dio del mare Poseidone, la maga Calipso, il Ciclope, le sirene e i mostri marini Scilla e Cariddi, Ulisse ha numerose occasioni per dare prova del suo coraggio, della sua intelligenza e del suo ingegno. “Qual è il tuo nome?” “Nessuno”. Ulisse, eroe multiforme, ribelle, rivoluzionario. Egli infatti, a differenza di Achille, Ettore ed Agamennone, non desidera morire per la gloria, ma fa di tutto per sopravvivere anche a costo di ricorrere a stratagemmi ed imbrogli. L’“eroe dell’insaziabilità del sapere” viene posizionato nella Divina commedia di Dante nel girone dell’Inferno dei consiglieri fraudolenti. Dante descrive una scena tenebrosa e terrificante: Ulisse è costretto a vagare rinchiuso in una fiamma insieme a Diomede, suo compagno nell’ideazione del cavallo di Troia. Come in tutti i canti della Divina Commedia, Dante vuole ascoltare le testimonianze dei peccatori e perciò richiede udienza, è curioso, vuole conoscere i motivi, anche lui come Ulisse è bramoso di sapere. Ulisse così racconta di essere stato il primo ad oltrepassare le Colonne d’Ercole, corrispondenti all’odierno Stretto di Gibilterra, che per secoli hanno provocato inquietudine e terrore nelle civiltà antiche che credevano segnassero la fine del mondo e l’inizio dell’inferno. Ulisse continua a raccontare di essere stato spinto dalla “virtute e conoscenza” a oltrepassare le Colonne d’Ercole, ennesimo esempio della sua voglia di trasgredire ogni legge ed ogni credenza che da sempre l’uomo si era prefissato. Si trovò costretto a fare un discorso di incoraggiamento ai suoi compagni che erano preoccupati, incitandoli a volgere le spalle all’ignoranza e alla superstizione. Ulisse ha il coraggio di andare oltre, di violare per la prima volta le comuni credenze; l’uomo non è fatto per vivere come animali, come “bruti”, l’uomo non è fatto per rimanere nei recinti e nelle gabbie delle esperienze comuni; deve trovare le chiavi per aprire le porte della conoscenza, al fine di abbattere ogni muro costruito dall’ignoranza. Bisognerebbe seguire l’esempio di Ulisse: non avere paura del naufragio ma spingersi oltre i confini del conosciuto. Primo Levi nel suo libro “Se questo è un uomo” racconta un episodio molto significativo: è in fila per il pranzo e sta cercando di spiegare a un suo compagno cosa sia la Divina Commedia; gli viene così in mente proprio il canto di Ulisse. “Non a caso” come scrive G. Pettinato, “nel periodo più buio della barbarie neofascista, nel cuore dell’odio irrazionale che la folle ideologia hitleriana aveva generato”, nel luogo di annientamento della persona, nel luogo terrificante di metamorfosi dell’uomo in animale senza ragione, nel vero e proprio sterminio delle idee, delle aspirazioni e delle ispirazioni, Primo Levi avverte il bisogno di raccontare Ulisse. “Domani lui o io potremmo essere morti, (…) devo dirgli, spiegargli”. Primo Levi deve far sapere, ha bisogno di salvare anche quel briciolo di identità che gli rimane, deve spiegare al suo compagno la necessità di abbattere i limiti, di aprire con l’immaginazione i cancelli del lager e di trovare la libertà nella razionalità dell’intelletto. Primo Levi infatti sente che il suo compagno capisce che nei versi che Primo recita c’è un messaggio anche per lui, “attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente”, “Pikolo, ho bisogno che tu capisca”, cerca di dirgli di guardare oltre, di distinguersi grazie all’intelletto senza farsi soggiogare dai recinti dell’ignoranza, di scavalcare gli imponenti steccati della coscienza morale che impone all’uomo di rimanere fermo sempre nelle stesse convinzioni.
Niente e nessuno potrà mai costruire mura tanto alte da ostacolare il pensiero. La ragione non ha limiti e ha la forza necessaria per demolire ogni grattacielo costruito dall’inconsapevolezza umana.