ROMA, 1/5/14 - REBECCA FILIERI

Appena arrivata a casa da Roma, voglio buttare giù quelle che sono state le mie impressioni sul “Concertone” del 1 maggio, voglio mettere ordine ai ricordi della giornata e raccontarvi come si vive la Festa dei Lavoratori nella piazza tanto ripresa e tanto famosa di San Giovanni. 
Partivo carichissima all’idea di trascorrere il Primo maggio nel luogo in cui è organizzata la manifestazione più grande d’Italia, dove immaginavo di respirare aria satura di rosso, rabbia magari, voglia di farsi sentire e di celebrarsi da parte di tutti quei lavoratori che ieri si sarebbero riuniti a cantare e ballare insieme sulle note di artisti vicini alle vite degli italiani e dell’Italia, come Modena City Ramblers, Bandabardò, Piero Pelù,  insieme a molti altri (più o meno sconosciuti, più o meno venduti).
Percorrendo il tratto di strada dalla metro alla piazza, sembrava di addentrarsi nell’URSS con tanto di mega-striscione contro il capitalismo, tra bandiere rosse, falci e martelli e “CCCP” che sventolavano ovunque e fiumi di gente che ti facevano pensare: “Se le cose stanno così, cambiamola qualcosa, cazzo!”. 
Le cose non stanno così. L’ottimismo è durato poco. 
Occupato il mio posto nelle prime file, ho cominciato a percepire che l’atmosfera non era proprio da Primo maggio. Sembrava di essere a un concerto qualsiasi, anzi no, peggio: sembrava di essere al concerto di una band straniera di successo. Eravamo davvero tantissimi giovani. Penserete che questo sia stato un aspetto positivo della manifestazione. Be’, lo pensavo anch’io prima di realizzare che proprio la partecipazione dei ragazzi è stato il motivo della delusione più grande della giornata. 
Erano da poco passate le 15.00 quando il “Concertone” ha avuto inizio con l’esibizione di tre gruppi italiani emergenti in gara fra loro per il contest  1Mfestival, seguiti dal gruppo salentino Crifiù. Sin da subito la situazione mi è sembrata inusuale per un concerto di quel genere: erano pochi i ragazzi che si godevano la musica. “E’ solo l’inizio” ho pensato. Sul palco intanto, i presentatori si alternavano alle band e parlavano alle telecamere. Sono pronta a scommettere che su 700.000 persone presenti, solo poche decine abbiano ascoltato quello che Edoardo Leo, Francesca Barra e Dario Vergassola si dicevano. Parlavano di un festival sobrio in cui si sarebbero raccontate le storie di italiani, lavoratori e non, che non sono sopravvissuti alla crisi e che hanno affrontato ingiustizie e mafia da soli. Hanno raccontato le storie di tutti coloro che troppo spesso escono sconfitti dal sistema italiano e che festeggiano il Primo maggio da disoccupati o le storie di chi ha sofferto per anni e soffre ancora la scomparsa inspiegabile di persone care, come quella di Elisa Claps. 
…Nel frattempo intorno a me: cori che intonavano dolci melodie del tipo “Beeevo, beeevo, bevo, bevo, bevo, mi ubriaaaco e son feliceee anche se poi vomitooo” (tormentone della giornata) e i “Nuda, nuda, nuda” a Francesca Barra. E da qui la discesa verso la distruzione del valore stesso della Festa. Nulla da criticare sul fatto che i ragazzi che prendono parte a un concerto vogliano divertirsi con musica, alcol, erba e chi più ne ha più ne metta. Come si può pensare, anzi, a un concerto rosso che si rispetti, senza il vino e la leggerezza e l’allegria della poca sobrietà? Il problema risulta essere molto più profondo. E’ un problema di preoccupante carenza di cultura e di sensibilità in troppi italiani, soprattutto in quei miei coetanei con cui mi ritrovo a costruire il futuro. 
Pochi erano gli applausi o le grida di protesta, che sono difficili da soffocare, nell’ascoltare le storie raccontate dagli ospiti, giornalisti e protagonisti stessi delle vicende. Il disinteresse era allarmante. Sarà stata colpa del numero enorme di affluenti in piazza o dei microfoni non tanto efficienti? Dico di no. C’era la confusione più totale intorno a me mentre leggevano le parole di Peppino Impastato nella presentazione dei Modena City Ramblers, eppure non me n’è sfuggita neanche una, come ad altri (pochi). Durante la loro esibizione, solo tre canzoni, piccoli poghi isolati, in pochi cantavamo perché molti non sapevano chi fossero. Ovvio, d’altronde, perché ai ragazzi non interessa questo genere di musica con troppe parole e argomenti pesanti, musicisti vecchi, fuori moda e non pubblicizzati. Perché il futuro che era ieri sotto quel palco si è fatto sentire solo quando la Barra ha lanciato l’iniziativa di farsi le selfie e mandarle sul sito del festival. Avreste dovuto vedere come hanno applaudito in quel momento, uno dei più intensi emotivamente parlando! Siamo i giovani dell’apparenza, vuoti come non mai. L’importante è presentarsi bene, bene come facevano ieri i conduttori, quando alle telecamere raccontavano la commozione e il calore con cui Piazza San Giovanni ascoltava le storie e ne restava coinvolta. Se i tecnici di Rai 3 sono riusciti anche a inquadrare i gruppetti interessati davvero alla manifestazione, le fandonie dette saranno state credibili a puntino.
 Sul palco c’era chi parlava di razzismo, chi di sprechi di cibo, risorse e denaro, di ecologia e di salute, mentre sotto al palco c’era una popolazione composta in maggior numero da ultras da stadio che alla domanda “Perché siete qui oggi?” rispondevano “A farci”, e da ragazze tutte prese da fotocamere e autoscatti  mentre là sopra spiegavano l’origine della Festa dei Lavoratori. 
Non è che avessi ancora molta fiducia nella mia generazione, però vedermi sbattuto in faccia tutto lo squallore che sta avanzando proprio in una giornata tanto particolare e in quel luogo in particolare, ha reso più amara la delusione. 
Mi ero allontanata dall’area sottopalco, quando i MCR, dopo averci lasciato col vuoto della mancata esecuzione di “Bella Ciao”, sono riapparsi e hanno suonato proprio questa, ma con l’introduzione mixata con l’inno di Mameli. Ho avuto i brividi, ma all’inizio erano brividi di quelli che vengono quando si prova fastidio. Il resto della canzone ha creato la solita magia, anche a centinaia di metri dal palco, tra la gente che era lì non giusto per un Primo maggio alternativo.
Dopo si sono seguiti sul palco ancora altri gruppetti, e finalmente, a scaldare l’atmosfera, Piero Pelù. Anche lui con un’esibizione limitata in durata, ma non in potenza, e con il discorso che forse ha ricevuto più attenzione. Pelù ci sa fare con quell’aria da personaggio: ha attaccato i poteri del nostro Stato, mafia, Renzi e politici tutti, con poche parole, ma con l’energia che lui solo sa cacciar fuori. Ecco cos’ha detto: «Il non eletto, ovvero sia il boyscout di Licio Gelli, deve capire che in Italia c’è un grande nemico, un nemico interno che si chiama disoccupazione, corruzione, voto di scambio, mafia, camorra, `ndrangheta. La nostra è una guerra interna, il nemico è dentro di noi, forse siamo noi» (“Guardati intorno e togli il forse, Piero” ho pensato in quel momento ). Ha parlato anche di violenza, guerra e spese belliche:  ‹‹Gli F35 rubano i soldi a scuole e ospedali. Non vogliamo elemosine da 80 euro, vogliamo lavoro. Gli unici cannoni che ammetto sono quelli che dovrebbe fumarsi Carlo Giovanardi».  
Così il mio concerto è finito, senza neanche aspettare l’esibizione della Bandabardò, per cui, più di ogni altra motivazione, avevo deciso di passare a Roma questo 1 maggio. 
Mentre ripercorrevo al contrario la strada dell’andata, sembrava di camminare in una discarica. Impressi negli occhi i circa trenta metri di strada di fronte a un McDonald’s fiancheggiata da collinette alte fino alle ginocchia di carte di panini e bibite con quella “M” gialla di MultinazionalesfruttatriceeproduttricediMerda. 
Da una pizzeria di Cinecittà ho continuato a guardare il “Concertone”. Era il momento di Clementino: esibizione lunga più di tutte quelle degli altri ospiti, non sembrava la piazza di mezz'ora prima, i ragazzi sembravano rinati. Ho visto più mani al cielo con Clementino che pugni alzati con i MCR. E magari hanno ballato più con Tiromancino o Rocco Hunt (prodotto certificato by Sanremo) che con la Bandabardò. Ci si aspetta di tutto dopo una giornata così piena di contraddizioni, una Festa dei Lavoratori festeggiata più dai disoccupati, un concerto organizzato da sindacati, ma secondo i canoni di uno spettacolo Rai, una piazza giovane così apparentemente esplosiva e in realtà così spaventosamente soggiogata, consumatrice, assopita, ignorante, disinformata, omologata, inconsapevole e superficiale. 

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