RIFORME (IN)COSTITUZIONALI - ALESSANDRO CARCAGNI' (anno 2, n.7)
La Costituzione “in attesa che la si cambi, la si viola”. Gustavo Zagrebelsky racchiude in queste poche parole, concesse in un’intervista al Fatto Quotidiano, una sintesi esplicita di ciò che sta accadendo negli ultimi giorni nell’indifferenza (quasi) generale. Accade che, mentre l'opinione pubblica viene distratta dalle (importanti) vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi, la maggioranza figlia dell'inciucio Pd - Pdl si accinge a modificare nelle sue strutture vitali la NOSTRA Carta (sempre che l'esecutivo non cada prima, viste le ultime vicissitudini del Caimano). Probabilmente vi starete chiedendo dove sia il problema, dato che le modifiche alla Costituzione sono regolate dal suo stesso art. 138. Il problema è che proprio quell'articolo, che rappresenta in parte la "rigidità" della nostra Legge fondamentale, rischia di essere aggirato a causa di uno dei progetti del governo Letta. Ma l'incostituzionalità di questo tentativo di riforma è solo una conseguenza. Si, perché il problema di fondo risiede nella natura stessa di questo strano esecutivo e sugli obiettivi che si era prefissato alla sua nascita. La struttura di questa maggioranza e soprattutto la sua durata sono inadeguati all'adempimento del regolamento dell'art. 138, pensato dai nostri padri costituenti in virtù di una necessaria riflessione prima dell'approvazione di una modifica del testo della nostra Legge Fondamentale, una riflessione che non è sicuramente garantita da un governo di necessità a breve termine. È proprio per questo che la "strana" maggioranza tenta di forzare i tempi di riforma, nonostante i tempi ridotti e i provvedimenti più urgenti richiesti dalla crisi che ci tiene stretti per la gola. Sembra che stravolgere la nostra forma di Stato attraverso la dilanazione della nostra Costituzione, sia tra le priorità di questo governo che si era prefissato di cambiarla violandone nel frattempo alcuni tra i più importanti principi (vedi caso Ablyazov). La deformazione della Carta in chiave presidenzialista (nonostante re Giorgio abbia già oltrepassato i limiti delle prerogative del suo ruolo) è un progetto tutto berlusconiano, l'ennesimo esempio di monopolio della macchina istituzionale da parte dell'ormai pregiudicato e rappresenta un nuovo smacco all'espressione democratica del referendum che aveva già rigettato un'ipotesi di Stato presidenzialista. La maggioranza dalle (troppo) larghe intese aveva inoltre tentato, agli inizi della progettazione del ddl, di inserire tra i temi delle riforme anche il titolo IV che regola la magistratura, intento che fallì (per fortuna), altrimenti ci saremmo trovati di fronte all'ennesima strumentalizzazione della politica per i benefici di Berlusconi. Dopo le polemiche sull'inserimento del titolo IV tra i temi delle riforme, l'argomento Costituzione sembra aver perso la sua importanza mediatica, tanto di guadagnato per il governo che sta riuscendo a portare avanti il suo progetto nella passività collettiva, ma non totale. Queste riforme sono INCOSTITUZIONALI per natura dello stesso esecutivo che pretende di modificare la struttura della nostra Carta, attraverso un Parlamento eletto con una legge elettorale INCOSTITUZIONALE, un governo che applica politiche estere INCOSTITUZIONALI e che prometteva di risanare il rapporto tra politica e cittadini. Ma la promessa non è stata mantenuta e quel risanamento rischia di rendere agonizzante una democrazia distrutta dagli stessi uomini delle sue istituzioni e che trovava la sua ultima speranza nella Costituzione.